Una lettera di Padre Daniel a Mapendo, un bambino conosciuto durante il suo ultimo viaggio missionario in Repubblica Democratica del Congo. Una lettera dal profondo del suo cuore in occasione della Giornata mondiale del bambino africano del 16 giugno, che commemora la marcia e gli scontri sanguinosi avvenuti nel 1976 a Soweto, in Sudafrica, in cui migliaia di studenti scesero in piazza per protestare contro la scarsa qualità dell’insegnamento per i neri sotto il regime dell’apartheid. Puoi fartela leggere da Padre Daniel, qui sopra abbiamo inserito una traccia audio con la sua voce!
Questo è il giorno dedicato alla tua infanzia: oggi tocca a me celebrarti, ricordarti, festeggiarti… Per questo, caro, piccolo Mapendo, ho deciso di scriverti una lettera.
In generale, fra adulti, si usa chiedersi: hai avuto un’infanzia felice? Le risposte di solito sono molteplici: da un semplice sì/no, a “non posso lamentarmi: eravamo poveri ma i miei genitori mi hanno dato tutto, hanno fatto di tutto per me”; mentre per altri la risposta è “ho avuto un’infanzia meravigliosa: ancora ricordo le vacanze in famiglia, il profumo delle torte che mi preparava mia nonna, le risate dei miei genitori…”. Le alternative sono così tante che potrei continuare a scrivere e non avrei abbastanza pagine per riportarti così tante risposte.
Io stesso, se iniziassi a ricordare la mia infanzia, potrei scrivere a lungo e fare riferimento a momenti belli e felici ma anche, perché no, ad altri meno lieti. Ma oggi sono seduto davanti a te, davanti alla tua storia, al tuo mondo, alla tua realtà, alle tue gioie e ai tuoi dolori.
Per questo, mentre ti scrivo, penso a te, Mapendo; ricordo il tuo viso, il tuo sorriso, il candore dei tuoi palmi, i tuoi piedini, e, soprattutto, la tua nudità: non avevi scarpe, né ciabatte; indossavi solo dei pantaloncini, ed era in qualche modo evidente che quello fosse l’unico capo di abbigliamento che possedevi.
Come posso dimenticare quando ci siamo incontrati? All’inizio mi guardavi con curiosità, ma anche con paura – non ti nascondo che ero un po’ a disagio. A poco a poco, ti sei avvicinato, ci siamo avvicinati, e ci siamo riconosciuti: siamo uguali, non abbiamo differenze. Il mio cuore ha cominciato a battere in modo diverso, mi sono sentito accettato, meno alieno alla tua realtà, meno straniero… più vicino: il tuo sorriso mi ha riempito l’anima. Quando mi hai dato la mano, Mapendo, ho sentito l’amore e l’affetto che mi hai trasmesso – senza dirmi nulla: abbiamo solo camminato insieme ad altri bambini come te.
Col passare dei giorni, quando mi alzavo al mattino, la prima cosa che facevo era andare a vedere se fossi già lì, aggrappato alla staccionata o nascosto tra gli alberi. Volevo vederti, volevo sapere di te, come vivevi, se andavi a scuola, chi erano i tuoi genitori. Ero preso dalla curiosità, volevo sapere. Un giorno, quando andammo in giro per il quartiere, il luogo dove abiti, riuscii a capire molte cose di te e a rispondere a qualcuno dei tanti dubbi che avevo. Ma il mio cuore continuava comunque ad essere pieno di domande, soprattutto di tanti “Perché?”
Oggi ti penso: ti ricordo con quel viso così innocente, così fresco, così sorridente e questo mi rende molto felice, ma non ti nascondo che ripensare ai tuoi occhi, spesso tristi, mi fa pensare alla tua infanzia, a quanto sia difficile, e mi chiedo: ma è davvero un’infanzia?Come posso non pensare alle cicatrici che la mancanza di vestiti, di istruzione, di acqua, di cibo e di amore possono lasciare su di te, piccolo Mapendo?
In questo momento risuonano forti nel mio cuore le parole di Gesù: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto; nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato…”. Mi sento un po’ responsabile, e anche sfidato a non essere indifferente, distante, assente di fronte al tuo dolore, alla tua estrema necessità. Ti assicuro che continueremo a lavorare e ad aiutare, affinché anche altri si impegnino per la tua vita, perché insieme possiamo fare di tutto perché tu possa crescere bene, perché tu possa avere un’infanzia, una vita felice con tanti bambini come te.
Come vorrei incontrarti di nuovo, piccino, per chiederti: “Hai avuto un’infanzia felice?”. Voglio concludere ringraziandoti e facendoti sapere che mi hai fatto molto bene. Quando sono tornato a casa non riuscivo a smettere di ricordarmi di te, di pensare a te, e ho espresso 2 ringraziamenti dal profondo del mio cuore: uno a Dio, per avermi permesso di incontrarti e anche un secondo, perché no, alla vita, sempre per questo grande dono del nostro incontro. Prometto di non lasciarti solo affinché la tua infanzia non venga rubata, di non dimenticarti e di lottare per la tua felicità.
Ti saluto con tutto l’amore del mio cuore.