Casa dolce casa: la riscoperta dell’ambiente domestico durante il lockdown

Il Museo Etnografico Missioni Don Bosco resterà chiuso ancora per un po’, per questo motivo ogni lunedì vi presenteremo un oggetto della collezione, ciascuno legato alla storia e alle memorie di una comunità, ma anche al presente e alla memoria collettiva. Scopriremo insieme ciò che hanno da dirci sulla situazione straordinaria che stiamo vivendo.

L’obbligo di restare a casa ha stravolto la nostra quotidianità, costringendoci a ripensare all’organizzazione dei tempi della giornata e all’uso dello spazio domestico. Le case si sono così trasformate in ufficio per quanti hanno potuto lavorare in smart working, in laboratori per attività creative e bricolage di vario genere, in aule studio per i bambini e i ragazzi impegnati nella didattica a distanza, in ludoteche per quanti hanno dovuto intrattenere figli piccoli.

Tanti hanno colto l’occasione per dedicarsi a piccole riparazioni rimandate da tempo, spostare mobili o ri-immaginare l’arredamento. O ancora per una pulizia della casa più accurata e varie operazioni di  “decluttering” per selezionare gli oggetti superflui e sbarazzarsene. L’esperienza del lockdown ci ha fatto vivere la casa in un modo diverso e ha spinto le persone a riconsiderare le loro priorità in fatto di abitazioni: avere uno spazio esterno, il giardino privato, il terrazzo o il balcone, una bella vista sono diventati improvvisamente requisiti imprescindibili. Così come si è manifestata l’esigenza di avere una casa più grande e più luminosa, più di un bagno, una cucina abitabile, un ambiente per lo smartworking.

Da un sondaggio condotto da un noto portale immobiliare è emerso che la stanza della casa più utilizzata durante l’isolamento è stata la cucina: tutti abbiamo sfornato torte, impastato e fatto lievitare pane, pizze, focacce. Al secondo posto il soggiorno, dedicato alternativamente al lavoro, allo sport casalingo e alla visione di serie tv e film. A seguire il balcone, palcoscenico di momenti di relax, aperitivi e flashmob.

Il rapporto con la nostra abitazione è diventato più intimo e più intenso. La clausura ha aperto gli orizzonti, la condivisione forzata degli spazi ci ha dato l’opportunità di trascorrere più tempo in famiglia e di osservare e imparare a conoscere il quotidiano dato per scontato. La ricerca dell’altrove ha lasciato il posto alla (ri)scoperta di ciò che è vicino, prossimo.

Nel Museo Etnografico Missioni Don Bosco una grande vetrina è stata concepita come una “casa universale”, luogo delle attività quotidiane, spazio delle relazioni familiari e comunitarie, teatro della vita rituale.

Nella casa comunitaria, cuore del villaggio, si riuniscono gli anziani, i capi, i guaritori, le donne e i bambini, i giovani e gli adulti. È lì che si trasmettono oralmente le storie, i miti, i riti, le tradizioni, la lingua madre, i consigli per la caccia e per l’artigianato. È il luogo dove si condivide il sapere, si curano il corpo, la mente e lo spirito delle persone, si impartisce la giustizia riparativa.

Nella grande vetrina centrale del museo sono esposti alcuni ornamenti indossati nelle occasioni cerimoniali e rituali, strumenti per la caccia, come archi e frecce bororo o la lancia naga, e utensili per la preparazione e il consumo del cibo. In particolare, curioso è il tipití, un lungo tubo cilindrico fatto di giunchi intrecciati e flessibili, originario del Rio Negro, in Brasile. È usato per spremere la polpa di manioca, eliminarne il lattice velenoso e renderla una farina che è alla base di innumerevoli pietanze.

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