Venezuela: l’impegno salesiano per le sfide non solo umanitarie di oggi

Nella complicata e apparentemente irrisolvibile situazione del Venezuela di oggi, i salesiani hanno assunto il compito del soccorso alla popolazione, come è possibile con i loro mezzi, e il mantenimento della cura delle nuove generazioni affinché queste siano preparate al diverso futuro a cui hanno diritto.
Tengono fede al loro carisma nella decadenza generale del Paese, che il Covid-19 rende più drammatica sebbene venga ignorata dal sistema di informazione locale.

Immigrazione di ritorno

In queste settimane si è aperto un altro fronte di crisi: quello dei Venezuelani che rientrano dai Paesi in cui si erano rifugiati negli ultimi anni per scampare all’impoverimento. Hanno perso il lavoro in Colombia, Equador, Perù, Cile dove erano stati accolti talvolta con tensioni sociali e con esplicite avversioni, ma dove avevano potuto scommettere sulla possibilità di costruire un destino diverso. Sono stati licenziati e le condizioni imposte dalla pandemia hanno sottratto anche la possibilità di vivere sia pure “alla giornata” in terra straniera

Al confine con la Colombia, lungo il percorso di rientro di questi profughi, nella città di Táriba i salesiani hanno un Centro di addestramento al lavoro intitolato a San Giuseppe. Da questo mese questo ospita circa 200 persone, a rotazione per una quindicina di giorni, prima che i militari autorizzino il ritorno alle località di origine. Hanno messo a disposizione le aule scolastiche, la cucina e il refettorio, il cortile e il dormitorio per dare ospitalità a donne, uomini e bambini. Loro si sono concentrati nella casa della comunità; direttore e amministratore tengono i contatti per assistere questi profughi di ritorno.
L’attività si svolge in accordo con il governo, che porta cibo e assistenza sanitaria. I soldati tengono sotto controllo la gestione di questo centro temporaneo di accoglienza. Si sta presentando una quantità di minori non accompagnati ai quali si dovrà assicurare la possibilità di ritrovare la famiglia. Questi possono rimanere anche oltre la quarantena nel Centro giovanile: i salesiani li accudiscono in attesa che un familiare o un parente possano riprenderli con sé. Coordina questo servizio un avvocato amico di Don Bosco che ha buona conoscenza della situazione dei ragazzi a rischio in Venezuela.

La condizione comune di povertà

Ritornano nei luoghi di origine ma non trovano condizioni migliori di quelle che hanno lasciate qualche anno addietro. Vedranno accresciuta l’esasperazione economica e sociale.
I salesiani cercano di far fronte al bisogno primario di sostentamento delle persone. Già da tempo sono attive le “pentole comunitarie”, pasti distribuiti gratuitamente a chi è in stato di maggiore indigenza. In questo i religiosi sono aiutati da molti laici, che si dedicano alla cucina e alla somministrazione. In tempo di Covid-19 non si può vivere il momento del pasto anche come incontro comunitario: il divieto di assembramento impedisce anche questo momento di socializzazione. Ma il servizio non si è spento e viene praticato in un altro modo: con la preparazione di borse di cibo ancora crudo da consumare a casa. Chi non ha una casa viene raggiunto dai volontari delle parrocchie nei loro punti di stallo, sulla strada. Offrono una minestra calda in un contenitore con un saluto che cerca di tenere viva la speranza. Adesso è difficile compiere questo servizio verso chi è più distante dalle parrocchie o dalle case salesiane dal momento che si può effettuare solo a piedi data la scarsità di carburante per il trasporto in auto.
Questo accade in ognuna delle 28 località di presenza dei Figli di Don Bosco.

La fraternità espressa dalla famiglia salesiana

Questa rete di assistenza sta in piedi grazie anche alla di solidarietà internazionale di cui è parte attiva Missioni Don Bosco. La Caritas internazionale invia medicinali, cibo, e così fanno le varie congregazioni religiose e le Ong. L’embargo sugli aiuti umanitari non ha efficacia, ma il governo tace la provenienza di questi e li distribuisce come fossero un suo merito. I salesiani hanno attivato un invio costante di denaro da spendere in Venezuela per l’acquisto di ciò che occorre per sostenere le comunità e, attraverso queste, i loro collaboratori e assistiti. Vi è un sostegno alimentare che molti benefattori stanno sostenendo da molto tempo, per fortuna senza calare di tensione. C’è la grande paura che, in questa situazione economica mondiale, l’aiuto verrà necessariamente ridotto. Si fa garante tuttavia garante della continuità il Rettor Maggiore dei salesiani, don Angel Artime, che ha aperto e chiuso il suo primo mandato visitando due volte i confratelli venezuelani. Italia e Spagna sono ancora molto vicine e generose, come riconosce con gratitudine l’ispettoria di Caracas.

L’impegno a formare i nuovi cittadini del Venezuela

I salesiani del Venezuela non rinunciano a guardare oltre l’emergenza. La sfida di questo momento a proseguire l’attività didattica a distanza è una palestra per pensare a modalità nuove di presenza formativa attraverso il web. Il fulcro pedagogico di questa prospettiva è quello del “cittadino onesto” che Don Bosco impegna i suoi a formare. Il nuovo ispettore, padre Rafael Montenegro, è convinto con i confratelli che si dovrà dedicare energia alla formazione socio-politica dei giovani e dei laici adulti. Una sfida difficile da raccogliere adesso, nel diradamento delle relazioni sociali ma anche ecclesiali imposte dalla pandemia. A dare forza però a questo progetto sono anche le parole espresse dall’arcivescovo emerito di Los Teques, mons.  Ramón Ovidio Pérez Morales, durante la Settima Santa: “Abbiamo l’obbligo morale di far sì che questo governo vada via. Non è un’opzione politica, non è una scelta “contro” qualcuno: è la conseguenza di quanto osserviamo che sta accadendo fra la gente”. Si stanno muovendo i primi passi per riscoprire con i fedeli la dottrina sociale della Chiesa. Anche questa è semina per il futuro, nello spirito di Don Bosco.

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