Padre John Lee
Padre John Lee
DATA DI NASCITA
LUOGO DI NASCITA
ORDINAZIONE
TERRA DI MISSIONE
DATA DI DECESSO
14 GENNAIO 2010
missionari / Padre John Lee
Padre John Lee continua la sua missione dal Cielo.
La vita di John Lee ha qualcosa di straordinario nel servizio missionario che tanti come lui hanno reso agli altri. Dalla Korea dov’era nato si è trovato a casa sua nel Sud Sudan. Da una condizione di benessere quale il suo Paese poteva offrigli, è andato a vivere fra i più diseredati del mondo. Una professione che gli avrebbe reso prestigio e denaro, quella di medico, l’ha messa a disposizione di chi non poteva pagarlo, cercando e ottenendo la sua stima.
L’arco di tempo in cui si è consumata questa speciale esistenza è di poche decine d’anni, ma è stato sufficiente a consegnare alla gente del Sud Sudan la fiducia in Dio Padre e una concreta speranza di miglioramento.
Nasce in una famiglia di cui è il 9 figlio. Il papà muore quando lui ha 9 anni. Ci pensa la madre a garantire ai figli una vita dignitosa e un futuro promettente; a John propone di frequentare la facoltà di medicina, con destinazione finale le squadre sanitarie dell’esercito, che nella Korea ancora divisa fra Nord e Sud è una professione piuttosto importante.
Il percorso giovanile di John Lee è in direzione del conseguimento del titolo di medico. Si laurea all’Università di Inge, nella Korea del Sud, ma dentro a questa vocazione c’è un desiderio che l’orienta in maniera decisa. È cattolico, conosce la vita della Chiesa. Già alla scuola elementare rimane colpito dalla proiezione di un documentario su fratel Damian, il missionario belga apostolo dei lebbrosi a Molokai, un’isola delle Hawaii. Studia teologia all’Università di Gwangj, incontra i salesiani, “affascinato” come dirà lui stesso ” dalla loro musica e dallo sport così come dal loro stile di relazione affettuoso, spontaneo, libero e familiare”. Decide di esser come loro e si mette in gioco.
Nel 1997 fa il balzo a Roma, alla Pontificia Università Salesiana, per gli studi da seminarista. Qui conosce missionari operanti in Kenya e in Tanzania e con loro decide di andare a conoscere l’Africa. Fra le tappe quella che sarà per lui decisiva: Tonj. Qui vive una popolazione di origine Dinka, in mezzo alla quale dilaga la lebbra. Le condizioni igieniche e la precarietà alimentare chiedono un grande dono: quello di un intervento generoso per la cura e per il riscatto di quelle persone.
Il cuore di John Lee è maturo per registrare questo appello profondo. Torna in Italia, completa gli studi, e nel 2001 ritorna nel suo Paese per l’ordinazione sacerdotale, che avviene a Seul nel 2001.
Che la sua fosse una vocazione missionaria era ormai chiaro a tutti. I suoi superiori riconobbero la verità che era maturata in lui. Nella savana intorno a Tonj era andato a chiedere al Signore di indicargli la strada. La distruzione dei corpi causati dalla malattia di Hansen, aveva colpito la sua sensibilità, al punto che un giorno si era allontanato dal villaggio, lasciando nell’apprensione chi lo aveva visto quasi in stato di shock e temeva che non sapesse ritrovare la via del ritorno. Tornò, invece, con tutta la coscienza e la determinazione che a quei malati, a qui poveri, lui avrebbe destinato tutte le sue energie. Lo aveva anche detto: tornerò presto.
Ogni suo sforzo, una volta sacerdote, era di vedersi affidata la missione a Tonj. Spiegava a sé e agli altri che laggiù avrebbe trovato il modo migliore per essere medico, sacerdote, salesiano.
Torna dunque come promesso, non solo per una testimonianza ma per una pratica di amorevolezza evangelica: deve erigere una clinica per accogliere i pazienti. Deve operare chirurgicamente e ordinare le terapie di ristabilimento, prendendosi cura a uno a uno di loro. Li va a cercare con il suo fuoristrada, anche negli accampamenti più distanti dai quali un malato non saprebbe come fare per arrivare a Tonj. Arriva a trattare fino a 300 pazienti al giorno. Non fa distinzione alcune fra cristiani, animisti o musulmani che compongono la geografia religiosa del Paese.
L’ardore missionario non si accontenta dell’opera sanitaria: da buon salesiano immagina e dà vita a un polo di istruzione. Ottiene aiuti per costruire aule scolastiche e per pagare gli insegnanti. Appena vede l’aurora di un nuovo giorno per Tonj, incomincia a dare vita anche alle attività più ambiziose. Dell’oratorio di Don Bosco di cui aveva avuto testimonianza a Roma ritrova l’educazione e il divertimento musicale. Chiede allora che qualche benefattore provveda ad inviargli gli strumenti e le divise per dare vita a una vera e propria banda: la quale nascerà, avrà un nome (Don Bosco Bass Band) e diventerà il gruppo più noto in tutto il Sud Sudan.
Si ricordi che siamo negli anni della guerra perdurante fra i Sud e Nord del Sudan, quando i giovani sono chiamati a far parte di altri tipi di bande, quella armate, regolari o guerrigliere. Sono gli stessi ragazzi di Tonj a sperare che il metallo delle armi si doveva rifondere per fabbricare strumenti musicali: il messaggio evangelico e quello più antico di Isaia era passato attraverso le note del pentagramma.
Il lavoro sotterraneo di presa di coscienza, che padre John ha svolto incomincia a dare frutto. Quasi come se questo fosse il suo mandato, e l ‘abbia ormai raggiunto (tutto sommato in pochi anni), il suo corpo cede all’attacco di un tumore. Muore nel 2010, lasciando alla gente di cui aveva condiviso la sorte ancora parole di speranza attraverso la bocca del suo confratello p. Farrington Ryan, delegato salesiano per il Sudan, che presiede la celebrazione del funerale. “Imploriamo il buon Dio di darci la pace in Sudan” dice nell’omelia, benedicendo e incensando le spoglie del prete-medico-salesiano. Un anno dopo ci sarà il referendum nel quale i Sudanesi del Sud potranno riconoscere la loro autonomia dal resto del Paese, e molti penseranno anche all’intercessione di padre John Lee per questo obiettivo raggiunto.
La gente di Tonj chiede che sia riconosciuta la sua santità, e per questo la diocesi locale ha avviato un’indagine per un processo di beatificazione.