Il resoconto del viaggio di don Daniel Antúnez, presidente di Missioni Don Bosco
La prima cosa che mi viene in mente è affermare che la pace non è sempre un valore, un dono apprezzato, la possiamo riconoscere quando vediamo, sentiamo, percepiamo con le nostre mani, i nostri occhi, la violenza, l’insicurezza, in questo caso la guerra.
Noi di Missioni Don Bosco stiamo lavorando da molti anni insieme ai salesiani ucraini, insieme abbiamo realizzato molti progetti. Abbiamo costruito centri di aiuto e sostegno per bambini e giovani vulnerabili, abbiamo sostenuto l’allestimento di oratori e centri diurni: il rapporto che abbiamo con i Figli di Don Bosco in Ucraina è un legame vero, che da tempo porta risultati concreti.
Abbiamo lasciato Valdocco con il cuore pieno di domande, incertezze, e, perché non dirlo, paura. Entrare in un Paese in guerra provoca certamente molta insicurezza.
La nostra prima tappa è stata Bratislava in Slovacchia. Lì abbiamo incontrato un gruppo di adolescenti rifugiati che sono stati accolti appena è iniziata la guerra. Abbiamo parlato con i bambini, gli abbiamo chiesto come si sentissero e quali fossero i loro bisogni. Poi siamo andati a Presov, un’altra città della stessa provincia, per incontrare un altro gruppo di rifugiati – bambini tra i 5 e i 10 anni, in questo caso accompagnati da due salesiani e tre educatori. Parlando con loro, ascoltando le loro parole, sentendo le loro prime impressioni, siamo riusciti a capire come organizzarci per essere un ponte di aiuto.
La mattina dopo siamo partiti per la Polonia dove abbiamo incontrato altri confratelli che si occupano, insieme ad alcuni laici, di ricevere e accogliere altri rifugiati. In questo caso madri con i loro bambini, dato che gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il Paese al momento. La sera stessa siamo partiti per Przemysl per viaggiare di notte e partire il giorno dopo per l’Ucraina. Devo dire che l’entrata nel Paese è stata abbastanza facile, in questo momento entrano solo camion con aiuti umanitari e poche altre persone, noi facevamo parte di quest’ultimo gruppo. Una volta arrivati a Lviv (Leopoli) ci siamo subito preparati per aiutare i salesiani che da giorni lavorano incessantemente al fianco della popolazione rifugiata. La comunità salesiana condivide gli stessi spazi con le famiglie rifugiate, le persone che stanno lì. In quei giorni c’erano circa 200 persone. I profughi si fermano in quella Casa qualche giorno perché quello è un posto di passaggio, da lì si è più vicini alla frontiera. La strada per uscire dal Paese è lì a fianco.
Oggi mi trovo a Valdocco, sono tornato a casa da un paio di giorni e sono ancora in stato di shock, le immagini di quel Paese martoriato mi tornano costantemente in testa. La guerra ha un odore particolare, gli sguardi si perdono all’orizzonte, i volti non sono sereni, i pochi sorrisi sono velati dalla tristezza, l’angoscia si deposita nel petto e non riesce più ad uscire. Il dolore si impadronisce delle persone e c’è solo una possibilità: fuggire, salvare le vite, soprattutto quelle dei più deboli, i bambini.
La scelta della comunità salesiana di stare con la gente, di vivere con loro, in mezzo a loro, è una testimonianza di dedizione e generosità che dobbiamo capitalizzare per la nostra vita. Non è tempo di chiacchiere, è tempo di azione. La decisione di restare è una testimonianza del Vangelo.
La nostra partenza è stata organizzata dai nostri confratelli, e non è stato affatto facile lasciare il Paese in questo momento. L’angoscia, il lutto, il dolore ci hanno accompagnato durante tutto il viaggio. Continuavamo a parlare e a pensare a quello che ci eravamo lasciati alle spalle. Abbiamo sentito il bisogno di pregare, di ricordare, di rimanere in silenzio. A volte ci siamo chiesti se dovevamo tornare…
Domani sera Valdocco, come molte altre case salesiane nel mondo, aprirà le sue porte per accogliere il primo gruppo di rifugiati. Sono partiti ieri da Lviv e passeranno due e tre giorni a Bratislava, dove la comunità provinciale si prenderà cura di loro, darà loro un tetto sulla testa, un letto dove riposare, un po’ di cibo e poi continueranno il loro viaggio verso la nostra Casa. Sentiamo che è questo è un dono, un segno di Dio per ognuno di noi, per la nostra comunità, per le nostre case, per la nostra Congregazione.
Vi invito a pregare, a continuare a confidare nella Divina Provvidenza. Soprattutto, ad essere persone di Pace.
Don Daniel Antúnez