Padre Bartolomeo Giaccaria
Padre Bartolomeo Giaccaria
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missionari / Padre Bartolomeo Giaccaria
Sono padre Bartolomeo Giaccaria e vivo in Mato Grosso, in Brasile dal 1954. In quel tempo il Mato Grosso era ancora tutto da esplorare! C’era solo foresta e c’erano molti cercatori d’oro e di diamanti. Nel 1956 nella missione di Sangradouro ho avuto il primo contatto con gli indigeni Xavante: prima di allora vivevano ancora isolati, c’erano stati solo contatti sporadici. Era un gruppo di 40-50 persone, erano pieni di malattie contratte dal contatto con i bianchi. Stavano scomparendo, in tutto erano stati ridotti a 900 persone. Allora li abbiamo curati, aiutati, inseriti nella scuola, abbiamo fatto un lavoro di avvicinamento. Adesso sono più o meno 20 mila!
Da quando negli anni Ottanta sono andato a lavorare nei villaggi bororo, in particolare a Meruri, l’attività che mi ha più impegnato è stata la creazione di una scuola differenziata che facesse conoscere la cultura nazionale senza perdere la ricchissima cultura bororo.
La cosa più bella che ho fatto è stata di lasciarmi affiancare da un anziano molto competente, che è stato il mio padrino. Io imparavo da lui e facevo da ponte con i ragazzi a scuola. Poco per volta abbiamo realizzato una scuola bilingue interculturale, coinvolgendo anche gli anziani.
Oggi la scuola è in mano ai Bororo: abbiamo formato i maestri, che hanno fatto studi universitari, due miei allievi sono avvocati, il direttore della scuola è indigeno.
Oltre a lottare per la sopravvivenza culturale, ho cercato di aiutare i Bororo nel loro sostentamento economico, vero punto critico.
Il consumismo è arrivato anche qui: i Bororo hanno sperimentato un passaggio brusco dall’economia tradizionale a quella occidentale, faticano a capirne a ad assimilarne i meccanismi. È facile comprare, ma senza comprendere il processo di produzione, spesso sono spaesati.
La missione ha cambiato la mia vita e il mio modo di pensare. Ho imparato che devo mantenere la mia identità e saper assumere i valori degli altri.
Gli Xavante devono avere coscienza della loro identità e non perderla. Solo così si possono integrare altre esperienze. Il Vangelo non sostituisce le loro tradizioni, ma accompagna e perfeziona.
La prima cosa che ho fatto è stato cercare di far rivivere in tutto la loro cultura. Ho filmato e fotografato le loro feste, i loro rituali e li ho proiettati per gli altri. a poco a poco siamo andati avanti.
La difficoltà più grande è stata quella di capirli… capita ancora adesso! È difficile entrare bene in sintonia, perché alle volte ci sono delle manifestazioni culturali che ci urtano e allora bisogna fare uno sforzo molto grande per capire e accettare.Infine, li sto accompagnando nella demarcazione delle loro terre. Erano già state create delle riserve ufficiali riconosciute ma i fazenderos, i ricchi proprietari terrieri, le hanno occupate. I Bororo devono recuperare le loro terre.
Oltre a rendere difficile la delimitazione delle loro terre, i fazenderos vogliono che i Bororo affittino le loro terre, quindi le disboscano e piantano per la produzione su larga scala di soia, granoturco, canna da zucchero e per gli allevamenti intensivi di bovini. Questo tipo di produzione orientata al mercato esterno richiede l’uso di molti pesticidi che stanno intossicando le acque e i villaggi indigeni.
Le uniche terre con un po’ di vegetazione in Brasile sono quelle indigene, quindi delimitarle è un bene non solo per gli indigeni, ma anche per tutta la nazione perché sono un polmone verde importantissimo.
I Bororo mi hanno insegnato tanto. Noi occidentali siamo molto impegnati ad accumulare cose materiali. Partecipando ai rituali del funerale bororo mi ha molto impressionato questo: tutto quello che apparteneva al defunto viene bruciato. Io, scandalizzato, ho chiesto perché e il mio padrino, sorpreso dalla mia domanda, mi ha risposto: “Quello che vale di una persona non sono le sue cose ma quello che ha dentro, la sua morale, la sua cultura, il suo sapere”. Sono rimasto zitto e ho imparato.
Bisogna preoccuparsi dell’essenziale della vita.