Ha un nome davvero “di battaglia”, ma la sua non è una guerra con le armi bensì un servizio su una frontiera dei diritti umani. È Wellington Batista de Abreu, salesiano dello stato di Rondonia in Brasile. Il suo “marchio” etnico è dato anche dalla sua città di nascita, Ji Paranà, al centro della regione amazzonica. Da qualche anno è studente di teologia a Roma, dove resterà per completare gli studi per diventare sacerdote.
C’era anche lui al Concerto di Natale in Vaticano del dicembre scorso, quando il suo confratello don Roberto Cappelletti ha potuto presentare al grande pubblico in Aula Paolo VI e a quello televisivo la condizione di vita della gente di Iauaretê.
Wellington ha 27 anni, a 20 era già salesiano. Nell’incontro che abbiamo avuto con lui recentemente noi di Missioni Don Bosco abbiamo respirato la freschezza della sua vocazione e la profondità del suo impegno di studio, che lo porterà a tornare in Rondonia con un carico di responsabilità pastorali ed educative.
In precedenza ha condiviso per quaranta giorni la presenza salesiana fra gli Yanomami – “un popolo accogliente” ha sottolineato -, frontiera della presenza religiosa ma anche culturale tra i popoli della foresta. Anche lui ha vissuto con intensità la grande assise in Vaticano voluta da papa Francesco lo scorso ottobre per mettere al centro dell’attenzione ecclesiale la condizione dei nativi dell’Amazzonia.
Un appuntamento, quello del Sinodo Panamazzonico, che dalle parole di Wellington percepiamo meglio nella sua portata per la Chiesa brasiliana. Con i salesiani ha vissuto due congressi preparatori, uno a Manaus, capitale della regione, e uno a Roma. La complessità della situazione demografica è anche da collegare al numero di etnie, 23, che parlano lingue diverse fra loro. Dimenticati dal governo centrale, solo i missionari assicurano una vicinanza agli abitanti dei villaggi, anche quelli più sperduti. Il contatto con la” civiltà” è una stretta difficile da sopportare se non c’è chi possa sostenere la capacità di autodifesa attraverso anzitutto una profilassi sanitaria e insieme un’istruzione di base.
Un habitat da salvare
Sul finire del 2019, dell’Amazzonia abbiamo sentito parlare non solamente per il Sinodo ma anche per l’estensione degli incendi intenzionalmente appiccati a macchia di leopardo in ogni area della foresta. Wellington ci spiega che in origine il fatto di bruciare ampie aree di territorio è un metodo tradizionale, per quanto grossolano, di consentire coltivazioni orticole senza usare diserbanti e fertilizzanti chimici. Il problema nasce dal fatto che questa pratica si è estesa ai nuovi colonizzatori, che con il fuoco si insediano su latifondi che vengono sfruttati fino a che possono dare facili risultati; poi li abbandonano senza preoccuparsi di favorire la rinascita della foresta. “È bene che se ne parli anche in Europa” rimarca Wellington, “la prima questione che riguarda l’Amazzonia è quella ecologica. Quest’anno il numero degli incendi è cresciuto di tre volte rispetto allo scorso anno” rimarca. Se si garantisce il permanere dell’ambiente naturale si garantisce il permanere dei popoli che lo abitano, si consente un incontro pacifico fra le diversità di genti, si tutela l’equilibrio con la natura a beneficio, oltretutto, dell’intero pianeta.
Questione alla quale i salesiani in Amazzonia sono particolarmente sensibili è quella del futuro dei giovani che vivono in questo territorio: un problema nel problema, per certi aspetti, ma anche una risorsa nel problema. “La condizione giovanile è fatta di povertà che si manifesta con la carenza di formazione, di assistenza sanitaria, di sicurezza”. Wellington spiega che anzitutto occorre loro una presenza amica, come quella dei salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice che con le loro cinque missioni cercano di capillarizzare l’azione nella Rondonia. “Puntiamo al protagonismo dei giovani” rimarca, che deve partire dal garantire loro i livelli essenziali di salute, di protezione, di accompagnamento educativo. Soffrire di malattie, di malnutrizione, di violenza – che in situazioni estreme sorgono anche nelle famiglie, compromesse da stili di vita che vanno all’inseguimento dei modelli di città.
Wellington a Roma si sta incontrando con l’esperienza originaria salesiana. Nei periodi di sospensione delle lezioni e degli esami è coinvolto nell’attività degli oratori. Nell’estate 2019 è stato a Valdocco, accolto dagli adolescenti con i quali ha condiviso le giornate di vacanza. “Mi sono sentito a casa” commenta. Una casa grande quanto il mondo, capace di tenere in relazione i giovani di continenti diversi.